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Non lo so, sembra mortadella ma sa di ananas, replica la vicina di sedia.

IL BRUNCH DOMENICALE ALLA
PERMANENTE D’ARTE CONTEMPORANEA

Ma dai, prendersela con il brunch, che fin dalla parola stessa si commenta da solo, è fin troppo facile. Non si può. Che poi tu snob e soprattutto pezzente come sei al brunch non ci sarai mai stato, lascia stare: mai scrivere di ciò che non conosci. E invece sì: ci sono stato. E quindi.

E quindi una domenica mattina mi chiamano e mi dicono: ohè, vieni, andiamo al brunch. Attenzione: i brunch si tengono solo di domenica. Negli altri giorni sono proibiti. Mai di sabato, mai di mercoledì. Non si sa il perché.

Insomma, mi intimano: vieni al brunch. Oddio, al brunch?, dico io, ma siamo sicuri? e dove? Nel bar della permanente d’arte contemporanea, che razza di domande cretine fai, e dove sennò. Giusto, come ho fatto a non pensarci. E va bene, andiamo a vedere ‘sto brunch.

Arriviamo nel luogo del brunch. La domenica mattina le strade della città sono spopolate, e uno pensa, saranno tutti a dormire, beati loro.  Non è vero: sono tutti al brunch. Il locale è pieno zeppo di gente che fa il brunch. La biglietteria della permanente d’arte contemporanea risulta, al solito, deserta, ma la sala del brunch straripa di persone ai tavolini. Bene, non c’è posto, torniamo a casa, che peccato, dico io. Ma no, dicono loro: abbiamo prenotato. Un mese fa. Ah.

Ci sediamo, da lontano faccio ampi cenni per richiamare l’attenzione del cameriere che ci ignora platealmente. I commensali mi sgridano: ma dove vivi, al brunch non si ordina, mica siamo in trattoria, c’è il buffet. Ohibò, giusto: il buffet. Immagino siano gli antipasti. E poi? E poi niente – mi dicono loro – finisce lì. Ti servi solo, ma quante volte vuoi, il prezzo è stellare ma fisso, quindi ti conviene ingozzarti come un’oca. Guarda, c’è il caffellatte ma anche la caprese, le fette biscottate ma di fianco al tonno, le briosce dolci ma pure l’insalata di pollo. È il brunch. Forte, vero? Acciderba, dico io, ma quanto costa? Molto, ma le bevande sono escluse.

Al buffet, vorrei riempire il piatto sino ai limiti della sua superficie ma mi trattengo, un po’ per la vergogna, un po’ perché a ben vedere i cibi hanno l’aria consunta e mi spaventano. Prendo il piatto, sgomito per farmi largo di fronte all’oramai vuoto ma ambitissimo vassoio dei carpacci di pesce, poi per evitare la ressa passo nella zona verdure bollite, quindi finisco per errore nella coda al banco dei tè caldi e della maionese (è un brunch, gli alimenti convivono in armonia).

Siamo al tavolo: cos’è quello?, indago scrutando i bottini altrui. Non lo so, sembra mortadella ma sa di ananas, replica la vicina di sedia. Assaggio, spilucco e penso: tutto bello però madonna bona come si mangia male a ‘sti brunch.

Mentre pranziamo, su un palchetto prende posto l’orchestrina e comincia a suonare una musica, non saprei come definirla se non una musica da brunch. Domando al cameriere se per favore può farli smettere. Lui muto mi volta le spalle e se ne va a sparecchiare altrove.

Il pranzo, o supposto tale, sta per concludersi, le persone si alzano, corro a prendere un nescafè ma la brocca adesso è fredda oltre che vuota. In compenso, arriva il conto, e qualcuno si incupisce.

Che si fa, siamo a una permanente d’arte contemporanea quindi vediamo una mostra, propongo trionfante. Ma sei scemo, qui ci veniamo per il brunch non per le mostre, e comunque l’abbiamo già vista ieri, e a quest’ora la mostra è chiusa, e il biglietto costa un patrimonio, e poi quell’artista là non ci piace. Al massimo ti concediamo un salto albookstore. Il booché? Il bookstore. E va bene. D’accordo, dopo il brunch un bookstore, per digerire.

Al bookstore, cioè il negozietto di libri, ci si aggira pensosi fra volumi da sfogliare e basta, nessuno compra nulla, il conto ci ha già dato la mazzata. Vabbè, che ore sono? Le tre, anzi le tre e mezzo, io adesso tornerei a casa, io anche, ho da fare, ciao ciao, ci sentiamo.

Mi avvio verso il parcheggio a pagamento da sei euro al minuto riflettendo sull’esperienza. Per certi versi positiva, per altri no. Dopo tortuosi ragionamenti su pro e contro, concludo: ho ancora un leggero languore.
Magari per merenda mi preparo due spaghetti.

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