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Il cinema di Robert Morgan (1)

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di Luigi Castellitto (da rapporto confidenziale)

Robert Morgan è un’artista britannico (classe 1974) dedito alla regia di cortometraggi horror, per i quali è pure soggettista, regista, montatore ed animatore; tutti i suoi corti presentano una fortissima componente di stop-motion. Nato a Yateley, nell’Hampshire, ma ora residente a Londra, ha subito il battesimo spirituale all’età di tre anni, quando lo zio gli permise di guardare “Fiend Without a Face”, un fanta-horror del 1958, diretto da Arthur Crabtree ed inedito in Italia, che riprende gli stilemi classici di quel decennio. Da allora il germe del macabro ha germogliato nella sua mente, figliando un’ossessione per mostri e creature di ogni sorta. Le sue opere, vincitrici di diversi premi cinematografici, sono brevi ma intense, difficilmente vi rientra qualcosa di leggero, e il clima che si respira in esse è spesso truce e disperato. Contengono spesso una rappresentazione in celluloide di esperienze personali vissute in famiglia.

Il primo titolo è del 1999, “The Man in the Lower-Left Hand Corner of the Photograph”, un corto tredici minuti completamente in passo uno. Una storia di solitudine, di degenerazione fisica e mentale, di squallore, ma pervasa da una punta di speranza, seppur inquietante… Come grandi maestri ci hanno insegnato, vedi ad esempio Jan Švankmajer o Jiří Trnka, cui i lavori di Morgan paiono rimandare, l’uso di tale tecnica non pregiudica la resa drammatica, e infatti, in questa pellicola, troviamo una componente espressiva molto forte, che riesce addirittura a superare molte interpretazioni di presenze in carne ed ossa. In termini fotografici sussistono riprese che pongono l’accento sul primo piano e il dettaglio, con sfumature di zoom ottico. C’è anche un’interessante campo con la tecnica dell’iride associata ad un leggero flou.

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