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ehi, non vorrei pensassi che sono stupido

spassoso chinaskiThe others

Prima, io tenevo in grandissima considerazione il giudizio degli altri. Per me il giudizio degli altri contava moltissimo e questo era uno dei motivi principali per cui non uscivo quasi mai di casa, perché bastava un niente a deprimermi o a rovinarmi la giornata. Dico davvero, era sufficiente che un edicolante mi rispondesse con un tono brusco quando gli chiedevo se la scritta prezzo del giornale: 1 euro significava che il prezzo del giornale era di 1 euro – qualcosa di molto secco e inopportuno come “non vedi?” o un brutale “c’è scritto” – e mi deprimevo, bum, finivo giù nel pozzo nero, ma senza darlo a vedere, chiaro, a lui sorridevo con un sorriso che era un sorriso normale più un extra di sorriso per convincerlo davvero che non mi aveva assolutamente ferito, figuriamoci, per così poco?
Ma dentro mi laceravo.
Per prima cosa ridevo, ridevo come il perfetto imbecille che qualcuno dentro di me pensa che sono: “Ah ah!”, ridevo. Poi, mentre l’edicolante che se ne strafrega di me e del mio cervello tirava su col naso, già risprofondato nel suo mondo, mi affrettavo ad aggiungere qualche farfugliamento, qualcosa come “no, è che pensavo che, siccome sapevo che il giovedì esce l’inserto speciale con il dvd multimediale, il prezzo di un euro fosse riferito al…“, così, nella speranza di veicolare il messaggio “ehi, non vorrei pensassi che sono stupido. Cioè. Ho fatto lo stesso errore di uno stupido, chiederti conferma dell’ovvio, ma l’ho fatto – non ci crederai mai – per la ragione opposta, cioè che sono intelligente, ovvero dietro la mia domanda simile alla domanda di uno stupido c’era un ragionamento molto sottile che ora ti spiego nel dettaglio, se hai tempo, così che tu possa constatare quanto in realtà io non sia stupido ma…”.  Ma io volevo solo un po’ di affetto, una conferma dell’ovvio, sicuro, sperando in un suo “sì! esatto! bravissimo! un! euro!”, per poi vederlo uscire in fretta e furia dal casottino e fare il giro trafelato per venirmi ad abbracciare piagnucolando un “sei un grande! un grande!”, mentre i passanti intorno a me si fermavano per congratularsi o si davano di gomito e bisbigliavano un ammirato “ha capito che il prezzo del giornale è di un euro!”, giusto perché quando esco di casa, uscendo di rado, vorrei che le persone mi accogliessero in modo particolarmente affettuoso, come a dire “ma dai, su, esci di nuovo!”. Sarebbe fantastico, ma cosa vuoi che ne sappia un edicolante, del casino che ho dentro?
È più complicato di come sembra, però.
Io non avevo bisogno dell’approvazione degli altri per rinfocolare la mia autostima. Io avevo bisogno di evitare di essere disapprovato dagli altri per non intaccare il mio eccesso di autostima, è una situazione completamente diversa. Da un lato c’ero io, che sono pieno di autostima fino a qui; dall’altro c’era una parte femminuccia, sfigata, insicura e maldestra di me, che non so da dove venga, sarà penso l’ologramma di Jisus infilato negli interstizi del mio Io con estrema cura negli anni passati quand’ero troppo piccolo per proteggermi.
Bene. Tanti anni a farmi queste paranoie senza volermene fare ma, ohi, quando ti va giù il morale non ci puoi fare niente, razionalizzi, ti spieghi, minimizzi, giustifichi, ma dopo venticinque anni ricordi ancora il tizio che ti ha risposto male o quell’altro che ti ha mortificato pubblicamente. Tu sai bene che non ha nessuna importanza. Tu sai bene che te ne freghi del giudizio della gente. Eppure.
Ma ora ho trovato la soluzione.
Per prima cosa, ho notato che certe persone diventano mansuete se sei antipatico e le tratti male. Uno che è gentile e va da un cassiere o da uno sportellista e viene trattato male spesso si chiede “ma come mai io che sono così gentile vengo trattato male? Come possono esistere persone così meschine?”. Non sono meschine: o hanno capito il Metodo ed è quindi semplicemente il loro modo di non soccombere, o cercano di scaricare la tensione accumulata nelle relazioni con altre persone che hanno capito il Metodo, trattandole male. Tu cerca di essere autoritario e loro si ammorbidiranno, perché ormai si trovano meglio a comunicare a calci nel culo. Giuro che funziona. Dopo anni a farmi deprimere agli sportelli da eserciti di villani, ora sono io che muovo i fili; secondo, valutare se un comportamento razionale determinato dalla logica e dal perseguimento del (Proprio) Bene Maggiore viene abbandonato per uno irrazionale determinato dalla paura di essere giudicato uno sfigato o un imbranato o qualcosa di cui, in realtà, non mi frega niente. Perché a me non interessa il giudizio degli altri, questo volevo dire all’inizio, non mi interessa proprio; terzo, buttarsi a capofitto nelle situazioni sgradite. Uno non può avere idea di quanto sia liberatorio e gratificante sapere di non stare subendo una situazione imbarazzante ma di averla desiderata, creata e deliberatamente vissuta. Funziona.
Allora adesso vado dal panettiere e tutto è diverso, ad esempio anche l’altro giorno sono andato dal panettiere, con Ema, e volevo il pane integrale, che dovrebbe essere semplice, no? Entri, chiedi “ha il pane integrale?”, quello risponde “no”, ok, saluti, ciao, esci.
Ma prima non era semplice. Una cosa che mi ha sempre messo sotto è non capire che la persona al di là del banco può anche non avere dei sentimenti direttamente legati ai miei acquisti (se non in termini di “arrivano o non arrivano dei soldi?”), perciò, se quando volevo il pane integrale mi dicevano che non c’era pane integrale ma che c’era invece un ottimo pane ai cinque cereali che era una novità e se volevo assaggiarlo, io non riuscivo a dire di no – dentro di me pensavo che tutti a questo mondo fossero sensibili come lo sono io e mi immaginavo il panettiere che, a causa di un mio rifiuto, poi piangeva nel retro sbocconcellando il suo pane nuovo – e dunque assaggiavo pur non avendo voglia di introdurre cibo nel mio corpo, dicevo “uhm, buonissimo!” anche se in realtà mi faceva ca-ga-re e poi ne compravo una quantità assolutamente imbecille, tipo dieci chili, cioè m’impegnavo così tanto nella parte del cliente gratificante che sfondavo il muro della gratificazione e ripiombavo in non so che modo nella disapprovazione, perché di fronte alla quantità di pane acquistato il panettiere mi guardava come se fossi un cretino. E aveva ragione: ero un cretino. Fino a quando non ho capito.
Siamo entrati dalla panettiera e lei, gentilissima, mi è venuta incontro con un gran sorriso. “Pane integrale ne avete?”, le ho chiesto, serio. “No, mi dispiace”, mi ha detto, “però abbiamo un nuovo pane ai cinque cereali appena sfornato”. “No, ti ringrazio, io cercavo il pane integrale”, le ho risposto, e a questo punto la transazione per me era finita ma lei ha insistito e ha pronunciato il fatidico “se vuoi te lo faccio assaggiare”, al che io le ho mostrato il palmo della mano come Neo in Matrix quando ferma le pallottole e le ho detto “NO.”, e quando Ema ha provato a dirmi che lei, quasi quasi, il pane ai cinque cereali l’avrebbbe assagg… “NO.”, ho ripetuto anche a lei, poi, di nuovo alla panettiera, “mi dispiace”, ma già lei mi guardava come se mi stessero uscendo filoncini di pane integrale dalle orecchie e ha mormorato un “ok…”, perciò ho preso Ema per il braccio e siamo usciti e siamo andati in un’altra panetteria lì vicino, sempre alla ricerca del pane integrale che in effetti abbiamo trovato e, meraviglioso regalo del destino, la gentile signora paffutella proprietaria della panettiera mi ha dato un centesimo di resto invece di cinquantuno pensando che le avessi dato cinquanta centesimi invece che un euro.
Non aspettavo altro.
Prima mi sono assicurato dell’errore, deliziato dal vedere la sola monetina da un centesimo lì sul banco e la donna sorridente già impegnata in qualcos’altro, poi ho guardato Ema come a dire “guarda ora come la combino” e quindi, puntando il dito, ho esclamato: “Tu!”.
La donna si è girata a guardarmi e il sorriso le si è sbriciolato via dai denti, e io: “Oh, sì! Tu!”. Lei, preoccupata, a guardarsi intorno come cercando una panettiera colpevole alternativa. “Io ti avevo dato un euro!”. Oh, avreste dovuto esserci. Avreste dovuto vederla. Fare la parte del tiranno! Io! Chi l’avrebbe mai detto? Se solo la mia povera mamma fosse stata lì a vedermi, invece che al supermercato a farsi soverchiare da finti macellai di fiducia e venditori di finti pesci freschi. Si è scusata, la panettiera. È andata in agitazione, mi ha dato i soldi e ci ha messo quasi trenta secondi, ha persino balbettato, Gesù, il mio primo balbettamento, che cazzo di emozione. E io l’ho perdonata, le ho sorriso e l’ho perdonata: “Non si preoccupi, signora, è tutto ok” e ce ne siamo andati via, lasciandola a macerarsi per sempre nella  mortificazione del ricordo di non aver saputo reagire a un arrogante (un arrogante. Io! Che soddisfazione).

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